Adriano Accattino

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Intervista ad Adriano Accattino

di Giancarlo Plazio


Ci racconti il tuo percorso di poeta e di uomo?

Due anni fa lo scrittore Gian Luca Favetto venne a intervistarmi, per conto del quotidiano la Repubblica. L’intervista faceva parte di una serie di incontri con persone dalla vita doppia, nel senso che avevano nella loro esistenza svolto delle attività di natura apparentemente inconciliabile. Nel mio caso la doppiezza era determinata dal fatto di svolgere la mia attività nel campo dell’economia, essendo di professione commercialista, e di essere contemporaneamente e segretamente un poeta e un collezionista. La curiosità e le domande si riferivano a questa doppia natura e a questa doppia attività: il giornale pubblicò l’intervista su un’intera pagina dell’inserto regionale. Dunque per tutta la vita ho fatto il commercialista, e per tutta la vita ho fatto il poeta, interessandomi assiduamente di scrittura. Negli anni ho pubblicato una decina di libri; ho poi fondato e diretto alcune riviste di cultura e di scrittura; mi sono dedicato all’organizzazione di alcuni convegni e incontri di artisti e critici e all’ allestimento di mostre, curando l’edizione di cataloghi e atti. Il mio interesse per l’arte mi ha portato infine a produrre alcune opere, che perlopiù riservo allo sguardo benevolo di pochi amici.


Perché ti senti un poeta?

Parlo del tutto immodestamente, come se nessuno potesse sentirmi: penso di essere un poeta; e mi illudo di scrivere poesia anche quando scrivo in prosa. Perché poesia? Perchè non sono mai contento e non smetto di intervenire su ciò che ho scritto; m‘interessa infatti un’elaborazione che sia definitivamente perfetta e che non riesco mai a raggiungere. Questo rincorrere la scrittura mi sembra un carattere della poesia che non si dà ma si fa inseguire, si lascia avvicinare ma poi sfugge, mentre il poeta resta a bocca asciutta. La poesia ha poi altre caratteristiche, ad esempio il valore universale pur essendo una creazione del tutto individuale; l’essenzialità, in quanto non è mai eccessiva ma sempre giusta e misurata; la significatività, che è molto concentrata. Poesia è poi anche una parola che il poeta arrischia, senza nessun sostegno, senza appoggi: a me pare di arrivare sovente a dichiarazioni che non trovano al di fuori di loro stesse nessuna giustificazione e nessun sostegno. Sono considerazioni del tutto gratuite che però qualche volta aprono prospettive inedite. Per questo, anche scrivendo in prosa, mi sento poeta. Fino a qualche tempo fa non avrei avuto il coraggio di definirmi poeta, ma evidentemente con gli anni o si diventa sfacciati o si assume maggiore consapevolezza e si trova quindi il coraggio di dire quello che non si è mai detto.


Quali sono i temi e gli argomenti che affronti in questa nuova opera?

Non affronto argomenti particolari né temi privilegiati: il mio tema sono le parole, certe parole che ritengo utili per gli scopi che mi propongo. Queste parole eleggo e assecondo nelle loro evoluzioni, portandole a uno sviluppo dagli esiti qualche volta sorprendenti. Le parole mostrano le loro evoluzioni e manifestano le loro potenzialità, crescendo come alberi maestosi da un piccolo seme. Il mio campo di lavoro è dunque il linguaggio e le vicende che racconto sono circonvoluzioni di parole  Non ho altre storie da raccontare e non mi piace raccontare storie.


Perché non ti piace raccontare storie?

Qualche anno fa pubblicai un piccolo libro che riportava in copertina una frase che mi sembra significativa a questo proposito: “Sono stufo di romanzi; vorrei leggere un libro privo di vicende, qualcosa che non mi divagasse da me stesso, un puro svolgimento di lingua e di scrittura”. Nell’impegno completamente assorbente, in un cammino di evoluzione che si svolge per virtù di scrittura, almeno per me, non  resta né cerco spazio per divagazioni narrative. 


Dunque non ti interessa la vicenda come storia, sviluppo narrativo, ma ti interessa lo svolgimento di certe parole?

È inimmaginabile la potenza di certe parole, di tutte le parole; è sufficiente dedicarsi a sollecitare una parola, assecondandone i movimenti e incoraggiandone gli sviluppi, per stupirsi e incantarsi di fronte a ciò che da essa si alza. Nel mio lavoro non ho fatto altro che sollecitare le parole a mostrarsi e a mostrarmi ciò di cui sono capaci: non ho fatto altro che dare spazio, concedere tempo, fare silenzio attorno perché potessero aprirsi a loro agio e parlare.

La mia scrittura registra tutti questi movimenti: non si limita a esibire gli esiti e i risultati ma è una scrittura che si mostra mentre si fa; così sono rintracciabili i ripensamenti, le smentite, le strade che si sono prese e poco dopo lasciate. Non  tutto quel che viene fuori è buono, ma la scrittura è una disciplina che si esercita inflessibilmente sulla pagina: con l’esercizio e con gli anni si acquista una sensibilità e una finezza che rende drastici con sé stessi e con gli esiti della propria scrittura.

La mia scrittura si mostra dunque mentre si fa, esibendo le sue incertezze e le sue mancanze che vengono emendate per quanto è possibile; è una scrittura che appare sovente in contraddizione, spesso è incerta e talora poco chiara. Non teme di dover fare marcia indietro, poiché le indecisioni, le perplessità e il cambiare idea sono materiale costitutivo della scrittura stessa. S’instaura una dialettica tra scrivere e pensare. Non esistono progetti preliminari di scrittura, ma si asseconda lo scrivere che, in modo non predeterminato, investe delle proprie evoluzioni il pensiero. Si tratta di un doppio movimento: della scrittura intorno al pensiero e del pensiero che si manifesta nella scrittura. La scrittura si costruisce in modo totalmente libero intorno a un nucleo di pensiero che viene esplorato, incrementato con esercizi linguistici e incursioni in zone apparentemente non pertinenti, svolto e manifestato con esiti originali alcune volte sorprendenti. Così il pensiero si rivela essere il risultato di un processo scritturale: questo raggiungimento è molto importante in quanto coincide con il processo stesso di creazione di idee proprie. L’utilità e la necessità della pratica scritturale stanno appunto nella creazione di  idee originali. Naturalmente il processo di elaborazione delle idee è molto complesso perché oltre all’apporto fondamentale dello strumento scrittura entrano in gioco altre componenenti, come la formazione culturale individuale, la maturazione e via dicendo.

Tutte le parole vanno bene per intraprendere il lavoro di esplicazione e di manifestazione delle possibilità implicite, per cui ci si può dedicare con passione che non verrà delusa alla prima che ci viene in mente; tuttavia alcune parole sono più adatte di altre e sono quelle di cui non identifichiamo bene i contorni e nemmeno conosciamo precisamente i sensi, ma sfuggono anche perché offrono molti significati o significati incerti: sono parole che utilizziamo macchinalmente e di cui non abbiamo mai sondato le profondità e la molteplicità dei sensi. La scelta delle parole è in ogni caso rimessa a ciascun autore che è libero di volgersi dove vuole e anche di operare liberamente sui risultati di scrittura.

Non racconto dunque vicende o storie, ma raccolgo sviluppi di parole che determino verso i miei obiettivi che possono dirsi in due parole: la liberazione dell’uomo nella produzione delle proprie idee e il suo immettersi in un percorso di evoluzione. Per me è soprattutto  importante ritrovare una speranza di prosecuzione, di sopravvivenza oltre la palude che ci attanaglia: per questo è indispensabile che l’uomo imbocchi un cammino che lo sollevi dalla bestialità attuale e dalle ricadute nella bestialità; per questo è indispensabile anzitutto che impari a prodursi da sé le proprie idee, assumendo la pratica della scrittura. Il discorso è strettamente consequenziale: la scrittura permette di acquisire la capacità di prodursi idee da sé e scrittura e autonomia nelle idee sono necessarie per immettersi in una strada di evoluzione.

Ho detto che tutte le parole sono buone per mettersi all’opera e iniziare la propria applicazione scritturale: è quindi indifferente la parola che si sceglie per le nostre elaborazioni, in quanto tutte andranno bene e il campo dell’offerta è enormemente vasto. Analogamente esiste un’altra apparente indifferenza rappresentata dalla possibilità di incontrare il mondo a partire da un punto qualsiasi. Esiste un radicato pregiudizio per cui si cerca il punto d’inizio, di partenza da cui principiare un’azione e questo punto non si trova mai. In realtà il capo o inizio è dappertutto,  nel senso che ogni punto della realtà è il suo principio, da qualunque punto si parta questo è l’inizio. La realtà è assai generosa e molto abbondante per cui il principio è ovunque distribuito e da qualunque punto si può principiare. Un’apparente indifferenza si rivela essere tutt’altro.


Potresti in poche parole riassumerci le caratteristiche di questo modo di scrivere?

Volentieri, ecco alcune caratteristiche di questa scrittura:
- non si raccontano storie e vicende, ma si assecondano svolgimenti di parole;
- tutte le parole vanno bene per questo, ma meglio vanno parole sfumate nei loro significati e astratte o ambigue, che rientrano in un uso abitudinario non mai sufficientemente meditato;
- l’assecondare lo svolgimento delle parole dà corpo all’esercizio della scrittura che è lo strumento fondante della capacità di ciascuno di essere autore delle proprie idee;
- l’autorità ideale e l’autonomia ideale, cioè la capacità di prodursi da sé le proprie idee, sono le virtù indispensabili per ciascuno che voglia avviarsi su un cammino evolutivo;
- intraprendere un percorso evolutivo ci porterà chissà dove, mentre l’evoluzione rappresenta l’unica possibilità dell’uomo di uscire dal blocco che lo chiude e di salvarsi;
- l’evoluzione è lo sforzo dell’uomo di superare la propria umanità.


Puoi illustrare meglio il senso che per te assume la parola evoluzione?

Evoluzione è sostanzialmente una trasformazione faticosa e molto impegnativa che l’uomo promuove e per quanto riesce attua in sé stesso nella direzione di un’umanità più integra, piena e potente. La trasformazione si attua gradualmente in un modo che è quasi inavvertito in quanto ad ogni passo si perde la coscienza di come si era e quindi è difficile o impossibile confrontarsi con quello che si è diventati. Il cammino evolutivo si esplica nell’assunzione e nell’incontro con “la difficoltà”, per cui ci si misura con problemi che superano le nostre possibilità attuali di fornire immediate risposte; questo produce un incremento dell’uomo stesso, per cui egli si troverà allungato quando è necessario che si allunghi e cresciuto quando è necessario che cresca. La difficoltà dunque fa percorrere all’uomo che l’affronta un cammino in crescita di cui egli non si rende nemmeno conto, ma che è concreto. Il percorso dell’evoluzione è straordinariamente lungo in quanto occuperà un numero altissimo di generazioni prima che la trasformazione dia luogo all’uomo pienamente sviluppato. Non si tratta solo di una corrente irresistibile che trascina l’uomo ma di un moto che egli stesso può animare con maggior o minor vigoria ed efficacia. Se sento già mio figlio diverso da me nell’essenza e se innumerevoli generazioni sono necessrie per compiere l’evoluzione, quanto distante da me deve essere quell’uomo che ne risulterà!


Com’è nata questa opera così imponente?

L’opera è davvero ingente: si tratta infatti di un insieme di 32 libri. I testi che la compongono costituiscono un esempio di ciò che essi stessi raccomandano: offrono infatti il tentativo di un percorso di evoluzione. Questi scritti registrano un instancabile movimento verso una crescita e una perfezione scritturale ed esistenziale. Sono i campioni della mia personale evoluzione lungo tutto il cammino della mia esistenza. Per quanto possano servire a qualcuno, li offro con tutta modestia.

Per tutta la vita, ormai posso guardarmi indietro, ho scritto nel mio modo particolare che non racconta storie o vicende ma asseconda lo svolgimento di alcune parole, per cui un libro non può mai essere concepito a priori e davvero ogni volta che ci si mette davanti a un foglio bianco si genera una certa apprensione. Ho sempre scritto in questo modo, non predisponendo un piano o anche solo una traccia di scrittura ma sempre, con un abbandono fiducioso alle potenzialità implicite dello scrivere, mettendomi a seguire e sollecitare le circonvoluzioni di un verbo. Con tutto questo avevo però ben chiaro un obiettivo in mente: ho scritto con lo scopo ambizioso di contribuire alla liberazione e alla crescita dell’uomo.
Stranamente, consideravo la scrittura come lo strumento più adatto per svolgere una tale funzione e allora tra i miei primi propositi c’era quello di contagiare attraverso i miei scritti la passione della scrittura.

Ho scritto dunque senza propormi nessun risultato scritturale ma accogliendo quello che a mano a mano si presentava, con un obiettivo ben definito nella mia volontà, anche se incalcolabile nei suoi effetti. Mi pareva però di stare a scrivere sempre il medesimo libro, cosa che in effetti si è rivelata vera quando ho capito che un testo continuava in un altro e in un altro riprendevo ciò che avevo già detto in un altro ancora. Insomma, ad un certo momento mi sono accorto con sorpresa che i libri si coordinavano tra loro in un unico libro. A questo punto mi si sono disposti in un ordine complessivo dalle caratteristiche particolari, in quanto si trattava di un piano spontaneo che si creava per le ragioni intrinseche della scrittura e non per ragioni esterne, un piano a posteriori, che cioè si costituiva a cose fatte. Ho sempre pensato che la miglior coordinazione che i testi possono assumere è quella che discende da loro stessi, e cioè che il miglior insieme di testi è quello che i testi stessi da sé compongono; e così ho sempre ritenuto che la miglior coordinazione sia quella che gli elementi di un insieme da sé creano e dunque non una costituzione a priori che deve essere riempita di realtà, ma la realtà così come risulta dal comporsi spontaneo delle parti.

In tal  modo mi è nata quest’opera, dal collegarsi dei singoli testi i quali conservano una valenza autonoma pur partecipando ad un’opera in sé coordinata e piuttosto complessa. Questo genere di libri mi piace, che non fagocitino le parti di cui si compongono ma al contrario le valorizzino nella loro particolarità; e così questo genere di società mi piace, che non annullino le singole individualità ma le servano e le assecondino nel loro sviluppo.

 
Caratteri di scrittura e criteri di edizione

Ho scritto tutta la vita con uno scopo in mente: contribuire alla promozione dell’uomo e alla sua evoluzione. Sono sempre stato convinto che si debba comunicare la scrittura: scrivere è infatti acquisire la capacità di elaborare idee proprie ed è indispensabile per ogni uomo. Questa è la ragione fondamentale per cui ho scritto: promuovere la mia stessa evoluzione e comunicare agli altri la bellezza e l’opportunità di intraprendere una tale strada.

I criteri che mi hanno guidato in questa edizione sono facili e brevi da dire: non ho lasciato nulla com’era di ciò che poteva migliorare cambiandosi. Non ho considerato intoccabili gli scritti giù pubblicati, ma li ho raccolti con uno spirito di servizio determinato dall’esigenza pratica di fornire uno strumento che fosse il migliore possibile. Ho sempre pensato che gli autori più amati e i libri più utili sono quelli che si fanno a pezzi; così ho trattato i miei scritti senza alcuna soggezione, intervenendo senza tanti complimenti ogni volta che se ne è presentata la necessità.

Gli scritti che propongo sono quindi completamente nuovi, anche se alcuni non sono molto mutati: sono stati pensati questa volta nel loro insieme, in un tutto che finora non potevo concepire e infatti ho concepito a posteriori. La struttura si è creata quando i testi erano già scritti, come se lo scheletro di un organismo si concepisse dalla forma e dal numero delle membra disponibili. In tale andamento apparentemente rovesciato non ho fatto che applicare una convinzione che ritengo fondamentale e mi sta radicata: le parti sono prioritarie rispetto al loro insieme.

Questa non è tanto un’opera totale quanto il totale di un’opera, cioè l’organizzazione complessa che le parti individualissime hanno finito col comporre. È possibile una cosa del genere? Quando si è scritto per una necessità esistenziale di chiarezza e di compimento; quando si è scritto solo interessati dai percorsi benefici della scrittura, allora succede che, senza nulla di preordinato, si sia sempre scritto secondo un progetto spontaneo. Non esiste disegno progettuale più armonico del disegno che le parti da sé stesse, nel loro elaborarsi, via via compongono.

Si può scrivere secondo un progetto predisposto, ma si può scrivere anche secondo le esigenze intrinseche della scrittura. Nella prima modalità la scrittura viene trattata come un materiale da utilizzare o uno strumento capace di una certa funzione; nel secondo caso invece la scrittura viene assecondata nei suoi svolgimenti e veramente lo scrittore non sa che cosa scriverà quando si mette davanti a un foglio bianco. Non sa che cosa scriverà ma quello che scrive spesso lo sorprende.

Possono così distinguersi due tipi di scrittura: l’una può definirsi funzionale in quanto determina il percorso che la scrittura correrà e gli obiettivi che conseguirà; l’altra può dirsi poetica: in essa l’autore non mette nulla davanti allo scrivere ma fedelmente e assiduamente raccoglie quanto la scrittura deposita nel suo svolgersi. E la scrittura poetica si caratterizza per una progettualità non appariscente: possiede in sé un ordine intrinseco che mostra il suo disegno solo quando è compiuto. Naturalmente non è facile assecondare un progetto che resta invisibile fino al momento in cui si mostra e allora lo scrittore o il poeta pensa di aver scritto tutta la vita la medesima cosa. In realtà non si tratta della medesima cosa ma del fatto che ciò che ha scritto mostra la sua struttura coordinata. È come quando il relitto di una nave andata a fondo viene
tirato in superficie e dapprima indistintamente e poi in modo sempre più preciso appare.

Il breve saggio ha sempre rappresentato la mia forma di scrittura ideale: una scrittura pensante che si elabora e cresce mentre si fa; una scrittura creativa e inventiva o, come si è detto, poetica. Il respiro del mio scrivere è corto: non scrivendo secondo un piano disteso, ma assecondando giorno per giorno la traiettoria che la scrittura stessa mi dettava, non ho mai allungato la scrittura, non l’ho mai diluita, ma mi sono limitato all’essenziale misura che essa stessa mostrava.

Sono stato tardo nei miei sviluppi letterari: ho pubblicato il primo libro, L’ordine spontaneo, dopo i quarant’anni, e dopo averci lavorato cinque anni. In media, ogni libro mi ha richiesto cinque anni di applicazione. Ho scritto molto? Certamente quest’opera è consistente e i trentadue libri che la compongono sono tanti; eppure mi pare di non aver lavorato troppo, lungo gli anni. Ho scritto continuativamente solo durante le vacanze, mentre a casa perlopiù mi sono dedicato alle riscritture, le quali mi hanno impegnato tantissimo. Con la scrittura non ho mai avuto un rapporto facile, né la natura mi ha donato la capacità di scrivere in una maniera subito definitiva, ma sempre mi sono dannato a rifare. Insomma nulla mi è stato regalato, ma ogni cosa ho sudato. Tuttavia, se non fosse stato così, scrivere mi sarebbe piaciuto di meno e non mi sarebbe parso così formativo e indispensabile come lo reputo.

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Recensione su "Cent'anni di Scrittura Visuale in Italia dal 1912 al 2012" al Museo della Carale di Ivrea