Adriano Accattino

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1999

Deturpo
Diversi strati di acrilici su tela Sei pannelli di cm 115,5 x 181,5, ciascuno a sua volta composto di tre pannelli assemblati.

deturpoDeturpare un' opera, a cui ci si è scrupolosamente applicati per molto tempo, riveste un senso artistico? La convinzione che la risposta sia affermativa mi ha determinato a questi lavori. Deturpare, infatti, mi è sembrato spingere assai più avanti il gesto ironico di Duchamp che aggiunge i baffi alla Gioconda: sotto un mio attacco deturpante, il quadro sarebbe andato del tutto irriconoscibile! In quest'ottica, anche il gesto del vandalo che sfregia un' opera viene ricompreso nell' orizzonte del fare artistico poiché porta l'opera oltre sé stessa, fuori della sua mirabile ma marmorea definitività. L'atto deturpante è un grido che dice la disperata aspirazione all'infinitezza dell'operare. Ma poi c'è un coraggio straordinario quando lo sfregio è dello stesso artista che agisce sull' acquisito, il determinato, il raggiunto e lo dispone al nuovo; è come se nell'istante in cui sfigura il suo lavoro concentrasse due o trecento anni a venire, due o trecento anni di destino imprevedibile. Deturpare un' opera vuoI dire spostarla in avanti staccandola da una fittizia compiutezza; scioglierla da un blocco e offrirla al possibile, mobile e inconclusa; collocare sé stessi e il proprio lavoro in una dimensione di umana instabilità; affermare la miseria dell' opera e la superiorità incomparabile dell' operare. Per l'artista deturpare l'opera costituisce la fase più delicata: dopo molto fantasticare e progettare, dopo molto concentrarsi e applicarsi, tutto è rimesso in gioco e tutto è liberato: ciò che venne per un istante conchiuso si riprende, ciò che si arrestò si rimuove, ciò che si collocò ricomincia a volteggiare.

Deturpare è la fase ulteriore che allunga il percorso dell' opera, mentre guarda indifferente al risultato che si mostra. Conta solo ciò che appare, o anche ciò che vi sta sotto? Conta di più la forma finale o il lungo processo? Mi ha sempre interessato il lavoro che non si vede più, ma che pure c'è; non finisco di fantasticare sulle forme precedenti, sulle figure cancellate. Mi affascina l'umiltà, perfettamente concorde con la natura degli sforzi umani, di un lavorare (già dire lavorare mi sembra caratterizzante!) che viene ricoperto da un altro lavorare, di un procedere che viene sostituito da un altro procedere. La transitori età sollecita molte più implicazioni che l'immobilità tronfia e pretestuosa; e così è assai più significativo deturpare un'opera che compierla. Deturpare porta l'opera al livello dell'idea e come l'idea va avanti, ecco che l'opera abbandona la sua forma e l'insegue. Sostengo la superiorità di ciò che non appare più poiché è stato ricoperto, di ciò che non è più come prima poiché è stato sfigurato. Deturpare un' opera solleva ad altezze che l'opera in sé, per quanto perfetta, non sogna di toccare: si spalancano nuovi orizzonti all'arte per ciò che non si sarebbe mai pensato...